Il mio primo lavoro da Architetto – Capitolo 7

Era l’ormai lontano 2016. Mi sono abilitato a Luglio, era caldo. Un caldo meno intenso di quello che viviamo oggi ma comunque abbastanza torrido. Nella mia adolescenza, come puoi ben leggere nella mia storia dell’abilitazione, non mi sono mai impegnato molto nello studio. Eppure quando mi impuntavo su qualcosa dovevo portarla a termine a tutti i costi. Onore, testardaggine o forze esterna non so dirti. Mi sono Laureato ad Aprile e in una full immersion di tre mesi ho passato l’esame abilitativo. Ero un Architetto finalmente.

Mi ero promesso di staccare la spina per qualche giorno. Avrei iniziato la carriera lavorativa da lì a poco più di quattro o cinque settimane giusto per far combaciare l’inizio della mia avventura con il mese di settembre. Invece due giorni dopo essermi abilitato – sì, i risultati ce li diedero dopo la fase teorica dell’abilitazione – mi ritrovai dentro lo studio di mio padre, geometra non iscritto al collegio ma con una enorme esperienza di cantieri, arredamento e grafica digitale, pronto con il mio computer portatile a creare. Posso dire che fui preso sotto l’ala protettrice, nemmeno troppo, di un collaboratore ed amico di mio padre: un ingegnere settantenne che non aveva mai messo mano su di un tavolo da disegno. Eppure la sua esperienza e capacità era rinomata nella cittadina. Aveva le mani dentro qualsiasi impasto. Ero felice e un pizzico spaventato. Un po’ come quando inizi ad andare in bicicletta senza le rotelle. Sai che puoi farcela, lo hai sempre teorizzato. Cosa poteva andare storto? Ero pronto. Tolsi le mie rotelle di sicurezza pronto a sfrecciare nel piazzale per poi vedermi primo al Giro d’Italia.

Vieni con me” risuonò la voce baritonale dell’ingegnere. Aveva questo modo di fare che tutt’oggi non capisco: non parla, non dice cosa c’è da fare, non ti indica la strada. Ti porta a scontrarti con la realtà. Questo sarà un bene per la mia formazione professionale, ma ci arriveremo più avanti.
Salii nella sua auto. Nonostante era spaziosa mi rannicchiai sul sedile del passeggero. Hai presente quando sei in ascensore con altri condomìni e non sai come atteggiarti? Guardi per terra, parli del tempo e della temperatura e attendi, contando ogni secondo, l’apertura delle porte per fuggire e rintanarti nella tua bolla fatta di isolamento sociale. Se non provi quanto ho descritto, sei un alieno venuto sul pianeta terra per sterminare la razza umana.

Il viaggio durò abbondanti quindici minuti. Provai a carpire più informazioni ma senza troppi risultati. Mi domandavo quale fosse il mio primo lavoro, cosa effettivamente dovevo fare. Un nuovo progetto? Una ristrutturazione? L’assistenza in un cantiere? Ero pronto, volevo entrare nel mondo dell’edilizia a gamba tesa e far vedere di che pasta ero fatto.

Arrivammo ad uno stabilimento industriale e appena aperta la portiera dell’auto ci recammo agli uffici amministrativi. Qualche minuto di attesa più avanti ci raggiunge l’amministratore della società che, parlando rigorosamente con la persona più anziana, raccontò la vicenda in modo sommario. Difatti io non capii molto. Ragionando la situazione era palese: l’ingegnere sapeva già di cosa si trattasse e in quell’incontro era un sunto molto spiccio per prelevare i documenti. Tutto questo mi metteva in una posizione insicura perché non capivo cosa stesse succedendo in quel momento. Sentii poche parole dalle quali riuscii a delineare perché eravamo lì: “corrente elettrica” “bollette” “fornitura” “avvocato” “denuncia“. Il mio sguardo e le mie sopracciglia si arricciarono come fosse lo sguardo di Clint Eastwood ma, al contrario del noto attore americano, il mio non appariva minaccioso ma incredulo e incapace di comprendere appieno perché un Architetto si trovasse lì.

Finita la breve conversazione, l’amministratore della società, ci portò nel piazzale. Ci recammo vicino una piccola cabina elettrica dove era presente il contatore dell’energia e, puntando il dito contro, disse “qui è dove hanno trovato i consumi falsati“. Richiuse la cabina e ci salutammo. Insieme all’ingegnere tornai allo studio e, questa volta, nel tragitto di rientro mi spiego tutto ciò che era successo e cosa avrei dovuto fare.

L’azienda, in qualche arcano modo, aveva rubato dell’energia. O almeno, tramite un sistema aveva fatto in modo di contare meno kWh consumati di quanti effettivamente utilizzati. I tecnici e gli esperti della rete nazionale elettrica, sotto sollecito dei vari fornitori, avevano segnalato la discrepanza dei consumi negli anni con salti notevoli rispetto a quanto previsto e prevedibile. Da qui, tramite il verbale di sequestro redatto dalla Guardia Di Finanza, l’amministratore voleva dimostrare di aver rubato meno di quanto conteggiato così da dover pagare una sanzione ridotta.

Il mio incarico era preparare una perizia stragiudiziale per conto dell’ingegnere, che avrebbe revisionato passo dopo passo, andando a studiare, analizzando e confrontando consumi e costi, di cinque anni di bollette divise tra tre fornitori diversi intercorsi nel periodo e trovare delle discrepanze di conteggio che potessero far ridurre la sanzione della società. Ho passato due settimana sommerso di bollette dell’energia elettrica, negli anni in cui le bollette non erano chiare e limpide (più o meno) come quelle odierne, e fogli di calcolo excel per avere in prima battuta una idea di quanto e quando fu commesso l’atto illecito per poi ripulire la quantità spropositata di dati e metterli in chiaro in un documento word. Il tutto per far dire alla società “sì, ho rubato, ma non quanto pensate voi“.

Immagine estrapolata del file excel.

Durante l’elaborazione dei dati il mio cervello girava come una trottola sbattendo sulla parete cranica più e più volte. Non capivo, e non capisco tutt’oggi, cosa centrasse quel lavoro con il mio percorso di studi. Nulla aveva senso, anche perché l’incarico non era diretto ma stavo facendo il lavoro per qualcun altro. Capisco che quella fu l’unica occasione, in piena estate, di un qualcosa definito come “lavoro” ma con l’edilizia non era inerente. A questi miei dubbi, che in qualche modo avevo esternato nei confronti dell’ingegnere, lui rispose con queste parole “un ingegnere è chiamato anche a fare queste cose“. Forse le parole dette non erano specificatamente quelle da me riportate, ma il senso compiuto era quello. Eppure io ero un Architetto e volevo progettare. D’altronde non potete biasimarmi: per cinque lunghi anni sono stato indottrinato solo nel progettare, nel restaurare e nell’immaginare. Non nel fare il Data Analyst. Ed ero nervoso, furioso. Quella era la mia strada? Che fine aveva fatto lo sfogliare riviste di Architettura dalla quale prendere ispirazione, disegnare sul foglio le idee iniziali per poi trasportarle in digitale ed impaginare dei piccoli pezzi d’arte che raccontavano quanto dal mio cervello ideato?

Era questa la strada che la bicicletta senza rotella mi stava facendo percorrere?

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